I vini liquorosi sono ottenuti addizionando alcol o acquavite ad un vino base, in una precisa fase di fermentazione. Vengono sottoposti poi ad un invecchiamento in condizioni estreme per conferire caratteristiche organolettiche uniche.


- Introduzione
- Madeira
- Marsala
- Porto
- Classificazione del Porto
- Sherry
- Tipologie di Sherry in base allo stile
Introduzione
I vini liquorosi sono chiamati anche vini fortificati. Sono ottenuti da un vino base o un mosto parzialmente fermentato, la cui fermentazione viene bloccata aggiungendo alcol o acquavite (fortificazione). Si ottiene un prodotto dalla dolcezza variabile in base allo stato di fermentazione al momento della fortificazione. Il grado alcolico sarà compreso tra i 15° e i 22°.
Il sistema più usato per produrli è aggiungere una mistella, ovvero a sua volta di un mosto reso infermentescibile mediante l’aggiunta di alcool. Un altra tecnica è addizionare alcol oppure dell’acquavite di vino in modo da aumentarne la gradazione alcolica.
Il titolo alcolometrico complessivo dei vini liquorosi di norma non supera il doppio di quello del vino base impiegato per produrlo. La concentrazione di zuccheri non fermentati sarà di almeno 50g/litro, eccezione fatta per i fortificati secchi dove è consentita ai 40g/litro.
Molti di questi vini sono ottenuti da uve sottoposte ad appassimento, ma questo non li rende assolutamente dei vini passiti. La fortificazione dona l’elevato grado alcolico, e avvia una serie di trasformazioni sensoriali che a loro volta dipendono dai processi di maturazione e invecchiamento. Questi processi sono applicati in maniera specifica per ogni tipologia di Sherry che si voglia ottenere. Sono svolti in condizioni particolari ed estreme, e hanno un effetto importante sui tempi di evoluzione e sulla conservabilità. Per i vini liquorosi infatti, 50 anni può essere considerato un periodo di vita normale, non mancano bottiglie che hanno toccato il secolo di vita.


La fortificazione dei vini è stata ideata in origine per garantire la conservabilità del vino durante i lunghi viaggi in nave. L’aggiunta di alcol al vino infatti blocca la fermentazione, lo stabilizza e funge da antibatterico.
La fortificazione può avvenire sia prima che durante o dopo la fermentazione del vino base, e sarà questo l’elemento che ne caratterizzerà la concentrazione zuccherina. I vini che vengono fortificati all’inizio della fermentazione risulteranno più dolci. Questo accade perchè viene bloccata l’azione dei lieviti che non sopportano gradazioni alcoliche superiori ai 16.4°. In questo modo conservano quindi una certa quantità di zuccheri che daranno dolcezza al prodotto finale.
Se invece si interviene a fine fermentazione, si avrà come risultato un vino fortificato secco.
Come già accennato, oltre l’interruzione della fermentazione, la fortificazione può avvenire anche aggiungendo la mistella che contribuirà oltre alla gradazione alcolica anche alla dolcezza. La preparazione del vino base segue le procedure classiche dalla vendemmia alla pigiatura alla fermentazione. Questa è solo una parte della procedura, in quanto sarà poi l’invecchiamento in tutte le varie fasi a donare carattere e complessità.
Solo la presenza massiccia di alcol può garantire a questi vini la longevità, in condizioni estreme, necessaria per creare sensazioni organolettiche particolari ed entusiasmanti. Per i vini liquorosi infatti l’ossidazione, l’escursione termica, la comparsa di un velo batterico nelle botti scolme sono tutti fattori migliorativi ed essenziali tanto da venir incentivati per ottenere un prodotto superiore. La maturazione di norma avviene in botti riempite per 4/5 in modo da favorire l’ossidazione, che conferirà al vino determinate proprietà. L’invecchiamento dei vini fortificati è un’arte tra le più complesse e delicate nel mondo dell’enologia, con il nobile scopo di ottenere prodotti d’eccellenza.
Pur essendo molto diversi tra loro, ci sono delle caratteristiche che accomunano le principali tipologie di vini fortificati.
- Il colore: nei vini bianchi noteremo colorazioni dal paglierino al topazio, mentre nei rossi dal bruno scuro all’ambra. Le differenze di colorazione dipendono oltre che dalle uve di provenienza anche dalle tecniche di lavorazione utilizzate.
- I profumi sono sempre molto complessi e variegati. Il primo impatto è sempre dato dalla nota alcolica, per poi farsi spazio sentori di frutta secca, agrumi canditi, miele e caramello.
- La nota ossidativa è caratteristica dei vini maturati un botte scolme (tipo il metodo soleras) o stabilizzati tramite riscaldamento (vedi il Madeira).
- Al palato risultano sempre decisi e persistenti. Anche l’alcol o l’agente fortificante hanno aromi propri, che alterano, arricchendole, il bouquet olfattivo del vino base. L’aromaticità dell’alcol non deve essere confusa con la sua etereità. Quest’ultima ha il caratteristico odore pungente e bruciante tipico dell’alcool industriale, che quando è percettibile in un vino fortificato viene considerato un difetto.
MADEIRA
La storia del vino di Madeira inizia con la scoperta dell’isola da parte del capitano Gonzales Zarco detto il Guercio. Il capitano approdò sulle coste nel 1418 per ordine del Re del Portogallo, con l’ordine di conquistare e rendere abitabile la grossa isola al largo delle coste africane. Madeira rappresentava l’ultimo approdo sicuro prima di partire per l’attraversamento dell’oceano Atlantico. In quanto tale, avrebbe giocato un ruolo strategico nella futura conquista di nuovi territori nelle Americhe.
Madeira in portoghese significa “legno” e il nome è dovuto alla foresta impenetrabile di cui era ricoperta l’isola. Gli scopritori si aprirono varchi appiccando il fuoco alla foresta, che ben presto ne fu quasi completamente divorata. L’incendio produsse un ottimo substrato di cenere, adatto alla coltivazione di vite, canna da zucchero e banani.
La vinificazione fu intrapresa nell’isola nel 1489 dai Gesuiti che qui edificarono il convento di Santa Chiara. Loro infatti importarono da Creta le prime barbatelle di Malvasia (chiamato Malmasey). Questo vitigno è molto indicato per i vini dolci grazie al suo elevato residuo zuccherino e alla dotazione aromatica. Presto si importarono dal Portogallo altri vitigni a bacca bianca come il Sercial o il Verdelho che dettero qui ottimi risultati, grazie anche al suolo vulcanico dell’isola.
La necessità di esportare il vino locale verso l’Europa o verso le Americhe portò all’introduzione della fortificazione, così il Madeira diventò un vino liquoroso. Fu soprannominato “vino da roda” ossia vino di ritorno perché l’invecchiamento si compiva nelle stive delle navi che attraversavano l’oceano. Al loro ritorno al porto di origine, parte del vino a volte rimaneva invenduto e faceva ritorno a Madeira. Ci si accorse che il vino guadagnava in complessità in queste condizioni, e il Madeira invecchiato iniziò ad essere commercializzato in Europa. Tale fu il successo di questo tipo di invecchiamento che lo stesso procedimento fu attuato anche per il rhum, con la nascita del Navy Rhum.
Passato il periodo d’oro del 18° secolo alcune vicissitudini misero in difficoltà la produzione. Tra queste un’infezione di oidio (conosciuta come muffa bianca, è una malattia trofica causata da un agente patogeno fungino) prima e la filossera poi. La produzione ebbe un tracollo e molti vigneti furono convertiti in piantagioni di canna da zucchero. Proibizionismo e rivoluzione Russa faranno definitivamente tramontare il mito del Madeira, eliminando i suoi due mercati principali.
I produttori di Madeira, analizzato il percorso di invecchiamento, capirono che il segreto del vino era negli sbalzi di temperatura del clima durante i viaggi. Nelle stive delle navi il vino pativa il caldo, l’umidità del giorno e il freddo della notte, guadagnando l’inimitabile carattere.
Decisero di ricalcare l’operato della natura, posizionando le botti sotto ai tetti delle cantine in estate e nei seminterrati in inverno. In questo modo, seppur faticoso, riuscirono a ricreare la magia della natura, evitando i rischi legati al viaggio. Tutt’oggi nelle varianti più pregiate del vino, i cui termini in etichetta sono Colheita e Vintage, viene utilizzato questo sistema di invecchiamento. Sulle etichette di questi prodotti viene scritta anche la parola “Canteiro” che esclude l’uso di qualunque fonte di calore artificiale. Il costo di questa operazione rimane comunque elevato specie se si pensa che deve essere fatto per almeno 20 anni.
Successivamente, per l’invecchiamento di prodotti base, ottenuti dal vitigno Tinta Negra Mole, con invecchiamenti variabili da 5 a 10 anni, si decise di procedere diversamente. Furono inventate delle stufe (estufas) per riscaldare il vino per il medesimo tempo che sostava sulla nave o nei sottotetti. In questo modo si ricreava nuovamente il particolare processo, ma questa volta in maniera non faticosa per i cantinieri.
Il processo delle estufagem ha due diverse metodologie:
- il primo metodo è la “Cuba de Calor” è decisamente la più economica, con vasche in acciaio riscaldate esternamente da serpentine e tubazioni con acqua calda. Usando la Cuba de calor il vino sosta in questi contenitori di acciaio per 90 giorni ed è scaldato alternativamente fino a 55-60 gradi. In questo modo il vino perde la sua colorazione rossa, diventando ambrata, come nei vini da vitigno bianco. Segue un breve invecchiamento per guadagnare quei sentori ossidati, in un tempo molto minore. Il vino trattato in questo modo sosta da minimo 5 a massimo di 10 anni e compone la quasi totalità dei vini commerciali. Talvolta si hanno anche degli invecchiamenti di 15 anni, dove ci sono percentuali di vitigni nobili.
- La seconda metodologia è la “Armazem de calor”, usata solo dall’istituto dei Vini di Madeira, in via sperimentale. Prevede una sorta di sauna delle botti, chiuse all’interno di una stanza appositamente progettata per tale funzione. Qui le botti possono sostare da sei mesi ad un anno per via del processo più delicato rispetto al precedente. Il vino procede poi per l’invecchiamento.


Il vitigno a bacca nera più coltivato è il
- Tinta Negra Mole: un incrocio fra Pinot Nero e Grenache. E’ utilizzato in purezza per la produzione della maggior parte dei vini commerciali o come taglio per alcune riserve dei vitigni bianchi.
I vitigni a bacca bianca utilizzati solo per la produzione del vino di alta gamma sono quattro.
- Sercial: aromatico, tanto che qualcuno sostiene abbia parentele con il Riesling. Viene coltivato nei terrazzamenti più elevati, per avere le maggiori escursioni termiche, in grado di sviluppare al meglio i profumi.
- Verdelho: simile al nostro Verdicchio,coltivato poco al di sotto del precedente, si distingue da questo sopratutto per il tenore zuccherino leggermente più elevato.
- Boal: autoctono dell’isola, dalle misteriosi origini, è il Malvasia coltivato un po’ ovunque, ma sopratutto nei terrazzamenti in riva all’oceano.
- Terrantez: un vitigno in via d’estinzione per la sua bassa produttività e relativa debolezza agli attacchi infestanti, dalle doti di finezza eccezionali.
La classificazione del Madeira è abbastanza articolata:
- Rainwater, è un vino con 3 anni di botte, normalmente da Tinta Negra Mole, adatto all’uso in cucina.
- Finest, è un vino con 3 anni di botte e un passaggio in estufa, normalmente da Tinta Negra Mole, adatto all’uso in cucina.
- Reserva, vini base con 5 anni di botte, il minimo di invecchiamento da disciplinare, normalmente da Tinta Negra Mole. L’invecchiamento è indicato in etichetta.
- Special Reserve, vini con 10 anni di botte, spesso ottenuti da Tinta Negra Mole, con percentuali inferiori al 20% di altri vitigni nobili bianchi. L’invecchiamento è indicato in etichetta, mentre non si menzionano le percentuali dei vitigni.
- Extra Reserve, vini di pregio con 15 anni di botte, molto rari, poichè il passo successivo è il ben più pregiato Colheita o Vintage. Prodotti con Tinta Negra Mole e percentuali variabili di altri vitigni nobili. La presenza di questi ultimi, in percentuale non è dichiarata, ma normalmente non supera il 30%.
- Colheita, vini di un’unica annata, spesso di un unico vitigno che viene dichiarato in etichetta. Il vino invecchia per un periodo variabile da 10 a 20 anni.
- Frasqueria, detto anche Vintage, questo vino deve essere invecchiato almeno 20 anni e deve provenire da singolo vitigno.
I vini con invecchiamento da 5 a 15 anni devono indicare anche il loro grado zuccherino, quindi i etichetta troveremo Seco, secco, Meio seco, abboccato, Meio Dolce, amabile e Doce, dolce.


I vini secchi di Madeira sono ottimi aperitivi, bevuti molto freschi. Adatti a essere abbinati anche a preparazioni di pesce elaborate in grado di controbattere la forza alcolica e la persistenza del vino. Possono accompagnare anche le frittatine con uova di pesce sciabola dette “Ovas”, o il “polpo alla madeirense” o le “esptadas”, gli spiedini di pesce saporiti.
Specie il pregiato Sercial potrebbe essere anche abbinato ad un sushi di tonno, o ad uno spada affumicato. Molto nota anche la ricetta delle scaloppine al Madeira, vero piatto forte della nostra cucina. In Francia il Madeira viene utilizzato per fare la salsa Sauce Madere, con scalogno e burro per accompagnare la carne di vitello e le frattaglie.
I vini dolci ben si accompagnano con la pasticceria secca o con formaggi erborinati con tendenza amarognola quali il Cabrales spagnolo o il Roquefort francese. Sull’isola l’abbinamento classico del Malvasia è con il “bolo de cana” una scura torta fatta con melassa e succo di canna da zucchero concentrato.
MARSALA


Il primo vino italiano ad avere risonanza mondiale fu il Marsala. Di fatto fu creato dagli inglesi, il cui mentore principale fu John Woodhouse, originario di Liverpool.
Gli inglesi, grandi esperti e intenditori di vini liquorosi, ma perennemente in guerra, alternativamente con Francia, Spagna e Portogallo necessitavano di rifornire le tavole delle corti nobiliari e della ricca borghesia industriale.
L’Italia, divisa e mal governata, non rappresentava un nemico per la potenza inglese, ma un’opportunità commerciale.
La Sicilia rappresentava un serbatoio di vini alcolici e robusti a buon prezzo e qui Woodhouse attraccò nel 1773. Il maltempo che colpì la zona costrinse il commerciante inglese ad attraccare a Marsala, un porto protetto e sicuro. Il porto aveva guadagnato fama e commerci nel VII secolo grazie alla presenza araba (Mars-Allah, porto di Dio). Woodhouse fu colpito dalla bontà del vino dolce di Marsala, assaggiato casualmente in un’osteria del porto.
Questo vino era conosciuto localmente come Perpetuum, dal metodo di invecchiamento. La botte veniva colmata del vino mancante, con il vino d’annata e di fatto rappresentava una sorta di metodo solera effettuato con una sola botte.
Il vino doveva essere sicuramente amabile, vista la dolcezza delle uve e la tendenza di allora di non svolgere completamente gli zuccheri in alcol. Inoltre la sua origine era legata all’uso liturgico. Pensò che con esso, opportunamente fortificato, avrebbe potuto facilmente sostituire Porto, Madeira o Sherry, a seconda delle vicende politiche in corso.
Imbarcò una cinquantina di botti di vino, (le pipe da 412 litri), aggiungendo acquavite, per evitare che il viaggio modificasse le caratteristiche e le portò nel mercato inglese.
Il vino liquoroso inizialmente non ebbe molto successo, a causa del relativo prezzo basso, che faceva pensare ad un vino di seconda scelta.
Woodhouse convinto della bontà del vino, tornò in in Sicilia, per iniziare una seconda produzione. Questa volta rivendendolo ad un prezzo superiore, argomentando in maniera diversa il vino.
Il vino non fu più venduto come “surrogato” a costo minore di Madeira e Porto, ma come nettare divino a sè stante, degno di qualunque mensa. Il cambio di marketing ebbe successo è Woodhouse iniziò a vendere il vino in buone quantità.
Il metodo di invecchiamento adottato fu la solera, di cui gli inglese avevano già testato l’efficacia in Spagna. Il vino, più economico rispetto ai pari spagnoli e portoghesi, ripagava il viaggio più lungo fino ai porti inglesi, assicurando un margine di guadagno superiore.
Il suo commercio era così remunerativo che arrivarono altri inglesi come Hopps, Payne ed Ingham & Whitaker. Questi stilarono insieme a Woodhouse, nel 1812, un decalogo produttivo e un disciplinare di produzione, che riduceva i vitigni utilizzabili e codificava il metodo produttivo.
Tale era il prestigio del Marsala che quando Garibaldi sbarcò a Marsala si trovò la flotta inglese ad accoglierlo. Ufficialmente per appoggiare e proteggere l’impresa, ma in realtà gli inglesi volevano proteggere i loro interessi da eventuali colpi di mano del liberatore.


Il Marsala fu di fatto la prima Doc italiana conosciuta nel mondo, ma le sue fortune cominciarono a declinare con la fine delle ostilità inglesi. Questi, tornarono a preferire i più vicini ed economici Porto e Sherry.
Nell’egemonia inglese si insinua nel frattempo un italiano, Vincenzo Florio, figlio di Paolo, un ricco armatore nato a Bagnara Calabra. Egli fonda nel 1833 le cantine omonime, e diventerà il padrone assoluto della zona. Acquistando le cantine di proprietà inglese, metterà insieme un patrimonio di svariati milioni di lire dell’epoca, diventando il magnate incontrastato del Marsala.
Il Proibizionismo americano vietò l’importazione del Marsala nel ricco mercato americano, fortemente permeato dall’immigrazione siciliana. Questo fatto sancì il fallimento della più importante famiglia “del vino” d’Italia.
Il mercato e la fama del Marsala subirà un ulteriore colpo negli anni 70. In quegli anni, “produttori” poco avveduti acquistavano il vino per portarlo al nord, e produrre tipologie aromatizzate “all’uovo” che peggiorarono la qualità del prodotto, allontanando i consumatori.
La produzione del Marsala avviene al centro della cosiddetta fascia del sole che comprende la zona dove nascono i grandi vini liquorosi: Madeira e Porto. La forte insolazione di quest’area permette già da sola la produzione di vini di un’alta gradazione alcolica. Di conseguenza la fortificazione non fa che caratterizzare al meglio un prodotto già impostato dalla natura.
Dal 1984 il Disciplinare del Marsala DOC prevede come zona di produzione la provincia di Trapani insieme all’isola di Pantelleria e al comune di Alcamo. La striscia costiera a nord e a sud di Marsala risulta la più vocata. Qui il terreno sabbioso rosso, ricco di ferro ma povero di materiale organico, dà un buon drenaggio permettendo alla vite di accumulare zuccheri piuttosto che perdere forza nello sviluppo vegetativo.
La produzione del Marsala si è evoluta nel tempo ed oggi prevede il solo uso di Grillo, Gracanico, Cataratto, Insolia e Damaschino, per la versione bianca.
Perricone, Nero d’Avola, Nerello Manscalese concorrono invece per la versione rossa.
La produzione prevede la fortificazione con acquavite e l’aggiunta a seconda delle tipologie di mosto cotto, a fuoco diretto o a vapore o concentrato tramite evaporazione o sottovuoto. Nel caso di Marsala Vergine non è aggiunto nulla in quanto la sua gradazione naturale raggiunge tranquillamente i 18°. L’invecchiamento è fatto in botti da 400 litri seguendo il metodo solera.
A seconda del colore, del contenuto in zuccheri e della tipologia di produzione possiamo trovarlo nelle seguenti tipologie:
- Marsala Fine: con 17°, minimo un anno d’invecchiamento. Può essere secco, semi secco o dolce; è un vino aromatico ma non troppo elaborato.
- Marsala Superiore: con 18°, e minimo 24 mesi d’invecchiamento. Può essere secco, semi secco o dolce; ha un bouquet ampio e complesso, con note di agrumi canditi, anice spezie.
- Marsala Superiore Riserva: un superiore particolarmente pregiato e strutturato, con 48 mesi di affinamento in legno.
- Marsala Vergine Solera: caratterizzato dalle decise note ossidative, dai profumi intensi, pungenti, floreali speziati, con note diliquirizia, cannella, e un frutto caramellato, mieloso, ma mai dolce. Infatti il Marsala Vergine non è mai dolce, rimanendo sotto la soglia dei 40g/litro. E’ ideale anche in abbinamento al pesce in aperitivo.
- Marsala Vergine Stravecchio o Riserva: 10 anni medi di invecchiamento.
Sulle etichette si possono trovare le scritte
- SOM: superior old Marsala
- LP: London Particular
- GD: Garibaldi Dolce da un aneddoto che narra che questo Marsala dolce fosse il favorito del famoso condottiero.


Il colore del Marsala varia dal giallo dorato all’ambra intenso fino ai riflessi rosso rubino. In generale i profumi rimandano a caramello, miele, canditi e spezie. Ma la vera particolarità è la loro freschezza che si mescola alla complessità aromatica senza risultare mai pesante.
La struttura, l’alcool e le note speziate sono tutte caratteristiche che invitano ad abbinamenti complessi come il cioccolato, dolci al cucchiaio, dolci tipici siciliani. Un Marsala secco superiore ben si presta come aperitivo per accompagnare formaggi come Pecorino o Gorgonzola.
PORTO


La storia dei vini di Porto incomincia con l’epoca Romana. Ma solo nel 1200 con i primi tentativi di esportazione verso l’alleato francese, in cerca di robusti vini da taglio, varcheranno i confini nazionali.
I vini alcolici portoghesi, così come quelli italiani e spagnoli dovevano rimpinguare il grado e la struttura degli esangui vini francesi.
La svolta si ha all’inizio del ‘600 grazie agli Inglesi. L’ennesima guerra fra inglesi e francesi blocca le importazioni del vino di Bordeaux e i commercianti di Sua Maestà si affrettano a scoprire nuovi mercati. Il commerciante Lord Methuen stipulò un accordo commerciale con il Portogallo per l’importazione dei vini prodotti nella valle del Douro. Questa zona aveva vendemmie costanti e qualitative, i cui prodotti avevano tannini dolci e giusta acidità, gradita al palato dei sudditi della Regina.
I vini però rivelarono grossi problemi di tenuta durante il viaggio, più lungo rispetto alla Francia. Inizialmente non riuscirono a soddisfare i palati esigenti inglesi abituati ai vini bordolesi. Si decise, con una felice intuizione, di fortificare il vino con Brandy al fine di bloccare ogni residua fermentazione e lasciare un residuo zuccherino naturale.
Il Porto ebbe immediato successo e molti Inglesi si stabilirono in Portogallo creando i presupposti per un fiorente commercio. Ancora oggi li vede presenti in questa nazione, come testimonano i cognomi inglesi dei produttori: Cockburn, Croft, Graham, Osborne, Offley, Taylor e Sandeman. Ovviamente nell’ambito commerciale non potevano mancare gli abili olandesi e tedeschi con Niepoort e Burnmesteir.
Il Porto, per la sua struttura alcolica e la presenza di zuccheri, era spesso utilizzato a scopo terapeutico per la cura della debilitazione e dell’inappetenza. Esistono documenti medici che ne attestano la prescrizione come ricostituente alla fine di una malattia, o anche come medicina stessa. Certo che, la dose consigliata di una bottiglia al giorno, forse precludeva a qualche altro disagio…
Durante il devasto filosserico, per non perdere vendite nonostante la carenza d’uva, si procedette in taluni casi alla sofisticazione del Porto utilizzando brandy scadente, sidro di mele e vini rossi provenienti da Sud Africa, che rimasero immuni più a lungo dall’afide.


I vitigni che concorrono alla produzione del Porto Rosso sono: Touriga Nacional, Tinta Barroca, Tinta Cao, Touriga Francesa, Bastardo e Tinta Roriz (il Tempranillo spagnolo).
Per il Porto Bianco, normalmente meno pregiato e ricercato concorrono invece: Moscatel, Malvasia, Viosinho,Donzelinho, Branco e Esgana Cao.
Il terreno di coltivazione è terrazzato lungo il fiume e risale per circa 100 chilometri all’interno del paese. Le aree principali in cui è suddiviso il territorio sono:
- Baixo Corgo: si caratterizza per essere più piovosa e meno calda delle successive, pertanto la sua produzione si incentra sui vini rossi economici.
- Cima Corgo: é situata a monte della precedente ed è più calda e meno piovosa, pertanto le sue uve sono di qualità superiore. La sua “capitale” è Pinhao, cittadina che vede la sede di alcune cantine storiche. I suoi vini sono normalmente dei Vintage e dei Colheta.
- Douro Superior: quasi al confine con la Spagna, è la zona più arida e calda. Era difficilmente accessibile per via delle rapide del fiume, ma oggi con le strade tutto è cambiato. Da qui vengono dei prodotti commerciali, poichè è anche possibile una certa meccanizzazione delle pratiche di vigna, visto il territorio piatto.
Anticamente tutta la produzione doveva essere trasportata via fiume a Villa Nova de Gaia, vicino a Porto. Oggi con la nascita delle dighe idroelettriche questo trasporto su barca, i rabelos, è stato sostituito dal trasporto su gomma, all’interno delle autobotti refrigerate.
La vendemmia molto faticosa per via del terreno è fatta a mano, la pigiatura è effettuata tradizionalmente con i piedi e la fermentazione avviene con bucce e graspi utilizzando lieviti selvaggi autoctoni. Dopo la fermentazioni i vini vengono assemblati per creare il giusto equilibrio.
Per il Porto è pratica comune assemblare vini di annate o vigneti diversi, tranne per le eccezioni tipo LBV, il Porto Vintage o il Colehita che sono di un’unica annata.
Il Porto poi affina in botti di legno allo scopo di maturare lentamente e preservare l’acidità. Deve infatti risultare ricco e dolce, ma soprattutto deve mantenere la caratteristica della freschezza per poter mantenersi nel tempo.
Le botti della produzione del porto si chiamano pipas e sono in pratica una doppia barrique da 434 litri, in primavera sono trasferite a Villa Nova de Gaja, un paese a sud d’Oporto dove il vino al loro interno invecchierà per un periodo oscillante fra i 3 e i 50 anni.


LA CLASSIFICAZIONE DEL PORTO
- Porto Bianco (Branco, Dourato, White): di facile beva, si divide in secco, semi secco e dolce. Questa tipologia gode di poco mercato.
- Porto Rosato:è nato da poco per cavalcare l’onda della moda dei pink wine. Non è un vino memorabile ma punta alla piacevolezza immediata.
- Ruby: è il vero Porto Rosso di base. Di invecchiamento breve, color rubino, è un vino dolce dai sentori vinosi e freschi, e non riporta indicata l’annata della vendemmia.
- Porto Reserva: tecnicamente è un Ruby che si è distinto per l’ottima qualità. La menzione Reserva è un riconoscimento ambito, dal momento che i Ruby rappresentano la fetta più grande della produzione di Porto.
- Tawny: di colore granato, dolce, intenso nei profumi e complesso nell’insieme. Non porta il millesimo della vendemmia essendo un mix di diverse annate invecchiate dai 10 ai 30 anni.
- Singlas Quintas: d’eccezionale qualità è il prodotto di una singola azienda ed è consigliato per il consumo da meditazione.
- Porto Vintage: è di un’unica annata giudicata eccezionale dall’istituto nazionale e può invecchiare dai 3 ai 30 anni. L’apertura tradizionale prevede il rito della rottura del collo con l’apposita pinza rovente e lo straccio umido, con successiva decantazione
- LBV O Late Bottle Vintage: (annata di imbottigliamento tardivo) è il vino Porto di una singola annata non dichiarata Vintage. Ha caratteristiche d’eccellenza ma non ha la finezza di quest’ultimo. Invecchia dai 4 ai 6 anni in rovere, poi è messo in bottiglia per il consumo, sull’etichetta la comunicazione del millesimo è facoltativa.
- Porto Crusted: sono vini di grande intensità e carattere. Essi sono miscele di vini pregiati e particolarmente strutturati che vengono mescolati ad arte per ottenere prodotti unici e particolari. Invecchiano solitamente per tre anni in botte grande e solitamente altri 3-4 anni in bottiglia. Il nome Crusted è dovuto alle incrostazioni che si formano sul fondo, dovute ai tannini e polifenoli che decadono e formano sedimenti.
- Colheita: è un Porto prodotto in stile Tawny. Ricco e sontuoso, con uve provenienti da una singola annata e sottoposto ad invecchiamento per 7 anni. In etichetta è indicata l’annata, ma non è un prodotto unico e irripetibile come il Porto Vintage.


L’abbinamento con il cioccolato amaro o preparazioni al cacao, da sempre un azzardo con il vino, ha invece nel Porto un abbinamento eccellente.
Abbinamento importante anche con formaggi stagionati, dalla forte struttura in grado di compensare in bocca le persistenze da record del vino di Porto.
Si può pensare ad un abbinamento con carni rosse di selvaggina speziate con una spiccata tendenza dolce e buona succulenza per un abbinamento di concordanza con la dolcezza del Porto e la sua carica alcolica vicina ai 20°.
La regola dell’abbinamento perfetto deve tenere conto che il sapore di uno non deve mai sovrastare l’altro, ma deve andare di pari passo. Si deve procedere all’assaggio del cibo e poi del vino e viceversa per verificare se in bocca vi sia una prevalenza di uno dei due.
SHERRY
Sherry è il nome inglese col quale è conosciuto il vino fortificato prodotto originariamente nella città di Jerez de la Frontera, nei pressi del porto di Càdiz (Cadice).


I fenici per primi portarono la viticoltura in questa area vocata del sud ovest della Spagna, fondando Gadir, l’odierna Cadiz. I fenici che conoscevano la coltivazione dell’uva impiantarono quasi sicuramente delle vigne, ma dobbiamo arrivare alla dominazione greca per avere notizie certe sulla viticoltura.
I romani a loro volta implementarono la coltivazione della vite e la produzione del vino che per la sua gradazione alcolica poteva essere spedito fino a Roma, dove era molto apprezzato.
Gli arabi contribuirono in maniera determinante al futuro del vino di Jerez, portando con loro gli alambicchi da distillazione, che contribuiranno alla nascita dello Sherry.
Nel 1264 Jerez fu riconquistata dai cristiani e sancì, di fatto, l’inizio della storia moderna di questo vino, che con il dominio inglese diventerà uno dei prodotti enologici maggiormente consumati in tutto il mondo.
La vera minaccia alla vita dello Sherry venne dall’Inquisizione e dal suo clima di tensione che mise al bando i prodotti alcolici responsabili di rendere lascivi e peccaminosi gli animi dei bevitori.
Le tensioni fra la cattolica Spagna e la protestante Inghilterra avrebbero infiammato l’Europa per secoli…
I mercanti inglesi si trasferirono in tale area, per meglio controllare i loro affari relativi ad un’Inghilterra assetata di vini liquorosi come Osborne, Harvey & Sons, William & Humert e Byass. Dovettero resistere alle tensioni e alle rappresaglie nate nel 1588, dopo che Drake incendiò la flotta spagnola e successivamente alla vittoria inglese di Trafalgar del 1805.


Il terreno bianco di origine calcareo gessosa è uno dei segreti per la produzione di vino in un area tanto povera di pioggia nel periodo estivo. Il terreno che ricopre lo strato superficiale dell’area assicura un altissimo potere assorbente in grado di accumulare umidità in primavera e di mantenerlo durante l’estate. Questo terreno assicura nutrimento alla pianta, infatti le uve coltivate qui danno vita ai robusti Oloroso
Gli altri terreni sono il “barro” e l’”arena”, letteralmente fango argilloso e sabbia. Assicurano il corretto drenaggio, donando una particolare eleganza ai vini Fino decisamente più secchi e scarni.
L’altro segreto è il Flor, una particolare muffa che si forma nelle botti scolme. Ha il potere di isolare il vino dall’aria e regola magnificamente l’ossidazione. In questa zona, l’aria è molto ricca di questo tipo di spore, che sono una componente fondamentale nella produzione di questo vino. La muffa si nutre di zucchero, quindi i vini Fino risultano secchissimi e solo con un accenno di ossidazione.
La creazione di questa muffa è soggetta alle stagioni e al clima ed il suo sviluppo o meno nell’annata influenza in maniera determinante il carattere dei vini.
Al mondo vi è solo un altro posto dove si verifica questa magia: Arbois, nello Jura Francese.
I vitigni dell’area sono essenzialmente due:
- il Palomino dall’acidità bassa, che ha il potere solo in questa zona del mondo di sviluppare il flor e le sue caratteristiche d’eccellenza. Proprio per la sua bassa acidità è inadatto alla distillazione, infatti erroneamente si pensa che l’acquavite per fortificare lo Sherry provenga da questo vitigno. In realtà il brandy necessario alla sua fortificazione viene prodotto con l’Airen nella vicina Mancha. Risulta essere il vitigno bianco più coltivato per la sua acidità e assenza di profumi, che ne fanno un ottimo prodotto da distillazione. Il Palomino è pigiato dopo un solo giorno di permanenza. I vini prodotti con Palomino spesso difettano di acidità quindi è una pratica abbastanza comune aggiungere acido tartarico.
- Il Pedro Ximenez, l’altro vitigno, è utilizzato per produrre l’arrope, la mistella per fortificare il vino, oppure per vinificare vini dolci in purezza. Per la produzione di questi ultimi si faceva appassire il PX su appositi graticci di paglia detti esparto per tre settimane.
Dopo la vendemmia le uve Paolomino raggiungono la cantina, sono pigiate e vinificate in bianco. Quindi le strade si dividono a seconda che si voglia produrre Sherry Fino oppure Oloroso.
- I vini destinati alla produzione di fino vengono fortificati fino a raggiungere i 15° alcolici
- gli Oloroso raggiungono i 18°.
I vini sono poi trasferiti nelle botti e lasciati maturare un primo anno. Essi prendono il nome di añada, cioè vini dell’annata, o sobretablas. Le botti vengono riempite solo per quattro quinti e il cocchiume non viene sigillato, consentendo all’ossigeno di entrare in contatto con il vino.


Le tipologie di Sherry in base allo stile
Sherry Fino
E’ uno dei due stili principali. Questi sherry sono di colore chiaro, secchi con aromi complessi e con apprezzabile acidità, con un grado alcolico importante che consiglia il consumo fresco.
Nello Sherry Fino la formazione del primo velo del flor avviene dopo circa un mese dall’ingresso del vino nelle botti. Il flor si presenta solamente in vini con grado alcolico non superiore ai 15°, e ad una temperatura costante compresa tra i 18 e i 22°.
La superficie ottimale per il contatto del vino con l’aria si ottiene riempiendo con 500 litri di vino una botte da 600 litri. I lieviti della flor si nutrono degli zuccheri residui del vino cambiando la sua composizione e al tempo stesso isolandolo dall’azione dell’ossigeno. L’azione isolante del flor non è però perfetta, pertanto il vino si ossida lentamente e sviluppa i suoi particolari caratteri organolettici.
Sherry Manzanilla
è uno Sherry fino prodotto esclusivamente a Salúcar de Barrameda, città che si trova lungo la costa Atlantica. Qui il fattore fondamentale è rappresentato dal clima costiero, umido e salmastro, che conferisce al vino il suo carattere distintivo.
Sherry Amontillado
E’ uno sherry fino prelevato dalla solera per essere fortificato senza il flor, ossia avrà una maturazione ossidativa. In questo modo il suo colore diventa più scuro e si esaltano gli aromi tostati e di nocciola. Ha un gusto semi-secco dovuto all’aggiunta di una piccola percentuale di Pedro Ximénez. Il grado alcolico varia dai 16 ai 18 gradi.
Sherry Oloroso
il secondo stile principale, questo sherry è prodotto senza l’utilizzo del flor e pertanto fortemente esposto agli effetti dell’ossidazione. E’ di color ambra scuro è un vino con un grado alcolico importante dai 18 ai 20 gradi, una struttura robusta e maggiore concentrazione. Tendenzialmente sono dolci o semi dolci, e la dolcezza è regolata aggiungendo quantità variabili di Pedro Ximénez. Il vino base per gli Oloroso è prodotto per una parte con mosti ottenuti mediante una lieve torchiatura delle uve. Questo permette di estrarre una piccola quantità di tannini che conferiranno al vino maggiore struttura.
Gli Oloroso sono invecchiati più a lungo dei fino e per questo presentano una maggiore struttura e complessità organolettica, oltre alle tipiche note di frutta secca.
Al momento dell’imbottigliamento il produttore decide se lasciare il vino molto secco come si presenta al prelievo dalle botti, oppure se renderlo più o meno dolce mediante l’aggiunta di una quantità variabile di Pedro Ximénez.
Se il Pedro Ximénez rappresenta oltre il 15%, l’Oloroso viene classificato come Cream.
Sherry Pedro Ximénez
Lo Sherry Pedro Ximénez è prodotto con le uve dell’omonimo vitigno, lasciate appassire al sole per due o tre settimane in modo da concentrare gli zuccheri. Il mosto di queste uve fermenta molto lentamente e parzialmente e viene quindi fortificato, ottenendo un vino denso, sciropposo e molto dolce.
A Jerez nelle Bodegas si usa invecchiare il vino nelle soleras, dove viene aggiunto sempre del vino nuovo nelle botti di testa. Ricco di zuccheri, è in grado di alimentare il flor e regalare così complessità al vino con il lungo invecchiamento.
Il complesso di botti della solera è composto da vari strati, le criadere, che vengono colmate e svuotate di circa un terzo ogni anno, mantenendo vivo lo sviluppo del flor. Nello strato più vicino al terreno c’è la solera, termine derivante da “suolo”, che viene svuotata ogni anno di un terzo per imbottigliare il vino destinato al mercato.
I vantaggi della solera sono evidenti, in quanto il vino prodotto sarà di qualità costante, come richiesto dal mercato inglese, che non ama la lettura delle annate e la relativa mancanza di prodotto per una stagione infausta.
Riassumendo: il Pedro Ximénez è lo sherry più strutturato, prodotto solo con uve Pedro Ximenéz che vengono appassite lungamente. Ha un colore quasi mogano e dolcezza spiccata, contrastata da una buona acidità di fondo. I PX sono molto densi, sciropposi e dolci, hanno struttura robusta e aromi complessi di frutta secca. Essi vengono generalmente utilizzati per addolcire gli altri stili di Oloroso, tuttavia sono molto apprezzati e venduti anche in purezza, in particolare per essere abbinati ai dessert.
Palo Cortado
A detta degli enologi è un capriccio della natura, la cui produzione non è replicabile volontariamente, essendo una via di mezzo fra profumi e sapori di Oloroso ed Amontillado. Per produrlo si parte da un Amontillado secco che dopo avere maturato a lungo sviluppa le qualità tipiche degli Oloroso, cioè maggiore struttura cremosità e concentrazione. Il Palo Cortado ricorda quindi al naso l’Amontillado mentre al gusto si avvicina più agli Oloroso.
Cream Sherry
Non è tecnicamente un vino fortificato, ma dolcificato con mosto concentrato rispettivamente di Pedro Ximenez e di Palomino. Creato appositamente per il mercato Inglese il grado alcolico non è elevato, ma ha una forte concentrazione zuccherina.


Nel caso dello Sherry il ruolo del blender è svolto dalla solera e dalla Natura, che invecchia le partite e le singole annate regalando un prodotto finale frutto dell’assemblaggio di esse.
In alcuni tipi di invecchiamento, per la creazione di particolari riserve si usa invecchiare il vino in botti grandi sotto enormi tettoie, esposte alle intemperie e alle variazioni climatiche per ossidare il vino in maniera naturale. Questo invecchiamento ricorda da vicino l’altro vino liquoroso di scuola inglese, il Madeira.


Gli abbinamenti degli Sherry fino sono quelli legati alla cucina del luogo, freddi con tapas a base di pesce.
L’Amontillado e l’Oloroso secco si abbinano a preparazioni di pesce strutturate o vengono usati in cucina per la preparazioni di carni come le scaloppine.
Gli Sherry dolci si abbinano al meglio con formaggi erborinati o stagionati a pasta dura o con i dolci con frutta secca e miele tipici della zona.
Il PX è invece un ottimo vino da meditazione per il quale non è necessario alcun abbinamento, grazie alla sua complessità che rende l’assaggio un esperienza sensoriale memorabile.